Nella primavera del 1918, il Comando Austriaco, disimpegnato da altri fronti di guerra, aveva ammassato ingenti forze sul nostro fronte, per un attacco in grande stile che avrebbe dovuto sconfiggere definitivamente l’Italia.  Il piano nemico prevedeva l’impiego di 50 divisioni con due azioni contemporanee: una dai monti a cavallo del Brenta (altipiano d’Asiago-Monte Grappa) con direttrice Vicenza chiamata “Op. Radetzky”; la seconda sul Piave (Op. Albrecht) in direzione Treviso- Padova.  Quest’ultima comprendeva l’attacco, ritenuto secondario, al Montello, cerniera fondamentale tra le nostre difese, con lo scopo di sfociare in pianura e colpire alle spalle le nostre armate schierate a difesa del massiccio montuoso del Grappa e del Piave.
Alle tre della notte del 15 giugno 1918, il nemico scatena il fuoco delle sue artiglierie su tutta la nostra fronte, ad esso fa immediato eco quello di contropreparazione di tutte le nostre bocche da fuoco. Il Comando Supremo Italiano aveva infatti compreso, da molteplici segni e dalla cattura di numerosi prigionieri, le intenzioni dell’avversario, informando così preventivamente i vari comandi sottoposti ed organizzando le difese.
Nella mattinata tre divisioni della VI° Armata austriaca (13° Divisione Schultzen, 17° e 31° Divisione Honved) sotto una cortina nebbiogena creata artificialmente, lanciano le proprie truppe d’assalto a bordo di barconi attraverso il Piave, tra Falzè e Nervesa.
L’attacco coglie di sorpresa le truppe italiane poste a difesa del Montello, che vengono ben presto catturate dal nemico e, già nella tarda mattinata raggiunge la sua linea massima di espansione: Nervesa-Giavera-Casa Serena; ma è proprio nel pomeriggio della stessa giornata che i Comandi Italiani riescono ad immettere le prime riserve e ad arginare la spinta offensiva del nemico; in quella giornata vengono scritte le più belle pagine di gloria per un’accanita resistenza di tutti i combattenti schierati in linea.

Le giornate del 16-17-18 videro le truppe impegnate in furiosi combattimenti tesi a finalizzare i propri obiettivi: per gli austriaci sfondare definitivamente il fronte avversario, per gli Italiani eliminare l’infiltrazione nemica, molto pericolosa non tanto per la profondità della stessa, quanto per la sua importanza strategico-militare, il tutto porterà a numerose perdite da ambo i lati, imponendo anche un irreparabile logoramento dannoso specialmente all’esercito attaccante.  Le acque del Piave, ingrossatesi nella notte del 18, bloccano il transito sui ponti ed il traghettamento di viveri e munizioni, arterie vitali per le truppe austriache sul Montello ed è proprio per il giorno 19 che il Comando Italiano impegna il nemico in una controffensiva di vaste proporzioni, con alterne vicende che vedranno il paese di Nervesa perso e riconquistato più volte, ma che nella sostanza non porterà nessun vantaggio. Il 19 giugno mentre infuriavano i combattimenti sul Montello, cadde l’asso della nostra aviazione, con 34 abbattimenti all’attivo, il Maggiore di Cavalleria Francesco Baracca, colpito mentre mitragliava le truppe nemiche.
Ma nella giornata del 20, gli avvenimenti vanno precipitando, le fanterie nemiche di qua del Piave sono stanchissime, logorate dai combattimenti e dagli scarsi rifornimenti, al contrario i Comandi italiani continuano a far affluire riserve ed il morale è alto tra le truppe: sono sicuri che qui al Piave non sarà un’altra Caporetto. Nella serata l’Arciduca Giuseppe, comandante della VI° Armata austriaca dà l’ordine di ritirata: ogni Brigata lascerà la linea ad un Reggimento che, a sua volta, nella notte successiva cederà il proprio posto ad un battaglione e così via, velando i propri movimenti al nemico, a tal punto che le nostre truppe si accorgeranno dell’assenza del nemico solo nella giornata del 23, dimostrando grande perizia non solo nella fase di attacco, ma anche in quella della ritirata.
In otto giorni di combattimenti sul Montello perirono circa 28.000 soldati, non nemici o alleati, ma genti dell’Europa: Italiani, Austriaci, Ungheresi, Cechi, Polacchi, Slavi, ognuno tragga le proprie conclusioni.

Corrado Callegaro